Mercoledì 6 luglio, Mt. Gox Trustee ha annunciato che avrebbe ripagato i creditori del celebre exchange di criptovalute defunto ormai 8 anni fa.
Mt. Gox era un exchange di criptovalute con sede a Tokyo, agli inizi della vita di Bitcoin e del mondo cripto era la piattaforma più grande al mondo. Tragicamente ha però sospeso tutte le negoziazioni ed è andato offline nel febbraio 2014, lasciando migliaia di utenti e investitori senza i propri Bitcoin e asset digitali crittografici lasciati sulla piattaforma.
Mt.Gox aveva perso un totale di 850.000 Bitcoin per un controvalore di circa 500 milioni di dollari. Otto anni dopo, alcuni di questi Bitcoin sono stati recuperati. Il Trustee ha attualmente accesso a 141.686 Bitcoin, alcuni contanti e altri asset digitali crittografici tra ci quali Bitcoin Cash. Il valore di questi Bitcoin al prezzo attuale è di quasi 3 miliardi di dollari.
Il Trustee ha chiesto ai creditori online e ha anche indicato come vorrebbero ricevere il rimborso. Tuttavia, la domanda più grande ora è che quando i creditori ottengono i loro soldi, li terranno o li scaricheranno sul mercato aperto.
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Mt. Gox era un importantissimo exchange di criptovalute con sede a Tokyo. La piattaforma ha operato con enorme successo negli anni tra il 2010 e il 2014, quando ancora Bitcoin e criptovalute in generale erano qualcosa di sconosciuto per il grande pubblico.
Sulla piattaforma di Mt. Gox venivano processate oltre il 70% delle transazioni Bitcoin al suo apice. Sebbene sia più comunemente noto come Mt. Gox, l’exchange è talvolta indicato come MtGox o Mt Gox.
La compagnia ha dichiarato fallimento nel 2014, ma ha continuato a essere oggetto di cause legali e speculazioni per anni. Si sta solo in questi mesi giungendo al dunque.
Jed McCaleb fu colui che per primo ha aperto il business interamente costruito sulla diffusione di Bitcoin, creando il sito Web che è poi diventato l’enorme exchange di criptovalute di Mt. Gox.
Inizialmente la piattaforma non era che semplicemente un modo per gli appassionati del gioco di carte “Magic: The Gathering” di scambiare carte online.
Il nome Mt. Gox infatti è stato creato come acronimo di “Magic: The Gathering Online Exchange”. Il sito è stato poi ceduto a Mark Karpeles nel 2011 in cambio di sei mesi di entrate. Karpeles è diventato a quel punto azionista di maggioranza e CEO della compagnia.
Mt. Gox era considerato il più grande exchange di Bitcoin al mondo al suo apice. Ha gestito dal 70% all’80% del volume degli scambi della criptovaluta. Gestire una percentuale tanto elevata di transazioni ha dato a Mt. Gox un ruolo smisurato nel determinare l’attività di mercato di Bitcoin. Ad esempio, nel 2013 ha sospeso le negoziazioni per diversi giorni per raffreddare il mercato.
L’importanza e il dominio in questo nuovo mercato conquistato da Mt. Gox, ha reso la piattaforma un goloso bersaglio per gli hacker.
Mt. Gox ha difatti riscontrato diversi problemi di sicurezza durante gli anni in cui ha operato. Nel 2011, gli hacker hanno utilizzato le credenziali rubate per trasferire Bitcoin in modo illecito. Nello stesso anno, le carenze nei protocolli di rete hanno provocato la “perdita” di diverse migliaia di Bitcoin.
Nei mesi precedenti a febbraio 2014, i clienti hanno espresso crescente frustrazione per i problemi di prelievo di fondi. Bug tecnici hanno impedito all’azienda di avere una solida conoscenza dei dettagli della transazione, inclusa l’incertezza relativa al fatto che i Bitcoin fossero stati trasferiti ai portafogli digitali dei clienti.
Quando Mt. Gox è ha chiuso definitivamente i battenti nel febbraio 2014, Bitcoin (BTC) veniva scambiato intorno ai livelli di 600 dollari. Questi possessori di BTC si trovano di conseguenza già seduti a un profitto di 36x rispetto al prezzo attuale. C’è una possibilità molto alta che i creditori di Mt. Gox possano scaricare BTC nel mercato, non appena rientrati in possesso dei Bitcoin finora trattenuti. Parlando con Bloomberg, l’investitore di criptovalute Aaron Brown ha dichiarato:
“Alcuni creditori di Mt. Gox riceveranno Bitcoin. Alcuni li venderanno. Non sarà una frazione significativa del volume totale degli scambi di Bitcoin. Ma potrebbe far scendere i prezzi in modo repentino. Il declino potrebbe spaventare altre persone e potremmo assistere a un ulteriore calo dovuto a questo effetto domino di sfiducia.”
C’è stata una correzione davvero importante in Bitcoin e nello spazio crittografico in generale durante l’ultimo trimestre. Nel secondo trimestre del 2022, il valore di Bitcoin è stato dimezzato a causa di diversi fattori come il peggioramento delle situazioni macro, il collasso dell’ecosistema Terra LUNA, le massicce liquidazioni sugli exchange, le insolvenze delle società crittografiche e tutto ciò che abbiamo visto caratterizzare quella che è forse stata la peggior burrasca nei mercati finanziari da molti anni.
Tutte queste concause hanno contribuito ad alimentare questa pressione di vendita persistente su Bitcoin. Da un certo punto di vista però, il re delle criptovalute sembra comunque aver retto bene alla situazione. Ci sono stati veri e propri colossi tech che hanno visto svalutazioni peggiori di Bitcoin. Prendiamo Paypal (PYPL) per esempio, che dal suo all time high di Luglio dello scorso anno, ove veniva quotato a 310 dollari per azione, ha perso quasi l’80%, venendo scambiato oggi a soli 68 dollari circa per azione.
Un altro fatto ha poi contribuito alle discese di questi giorni. I miner di Bitcoin che detengono enormi quantità di btc, hanno scaricato le loro partecipazioni per far fronte ai costi operativi in aumento, che hanno tristemente accompagnato un calo importanti nei rendimenti. Alcuni dei principali attori nel mining di Bitcoin non si sono ancora mossi per liquidare le loro esposizioni. Ma se la situazione dovesse continuare in questo modo per altro tempo, è probabile che anche loro si vedano costretti a farlo in futuro.
Il gigante del mining di Bitcoin Marathon ha affermato che attualmente detiene più di 10.055 BTC e non ha venduto da ottobre 2020. Tuttavia, ha aggiunto che poiché la sua produzione di Bitcoin aumenterà nel prossimo futuro, potrebbe vendere parte delle sue partecipazioni per far fronte ai costi operativi.
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