Si fa tanto parlare di sostegni alle imprese e di ferma volontà, da parte dell’esecutivo e del Ministero delle Finanze, di alleggerire il peso delle tasse sulle aziende, diventato letteralmente insostenibile dopo i due anni di Pandemia, ma soprattutto, come se non bastasse, aggravato dalla profonda crisi economico-finanziaria-energetica in corso.
I fatti, però, stando ai numeri degli esperti, dicono ben altro. La verità nascosta che cova sotto la cenere racconta di una Nazione ancora con una tassazione pesantissima, dove vivere forse è diventato quasi impossibile, figuriamoci il “fare impresa”.
Non meravigliamoci allora se le strade principali delle grandi città sono tappezzate di cartelli con la scritta “Affittasi”, che fanno bella mostra sulle saracinesche abbassate.
A partire dal 2018, l’Italia è uno degli unici due paesi europei in cui il PIL pro capite non si è ripreso dalla crisi finanziaria. L’Italia ha un tasso di disoccupazione medio dell’11 per cento. Inoltre, gli italiani hanno il secondo debito pubblico più grande al mondo rispetto al loro PIL. (Hai letto del nuovo Def che potrebbe portare nuove tasse per tutti?)
Il problema dell’Italia, secondo gli esperti, è un carico fiscale opprimente, programmi di welfare “irresponsabili” che incoraggiano una disoccupazione misurata e aumentano il debito e alti livelli di regolamentazione. Si consideri la performance dell’Italia rispetto alla Germania. L’Italia è passata dall’essere il 2% più povera dei tedeschi nel 2000 al 21% più povera nel 2017, il che significa che il suo divario si è ampliato di 19 punti percentuali.
Una delle ragioni potrebbe essere che la Germania è cresciuta più velocemente perché ha fatto le giuste riforme ed è diventata più competitiva, mentre molti altri paesi come l’Italia no. Il divario tra Portogallo, Spagna e Germania è aumentato rispettivamente del 2%, 3% e 16%. Pertanto, la forbice dell’Italia con la Germania si è allargata alla fine molto di più in questi anni.
Piove sul bagnato secondo le analisi recenti di Unimpresa. Il centro studi fa emergere tristemente che le aziende italiane avrebbero avuto 68 miliardi di costi per interessi bancari che avrebbero potuto scaricarsi ma, per le nuove regole, ben 42 di questi non sono scaricabili.
Nella sostanza il nostro legislatore ha permesso un aggravio fiscale di almeno dodici miliardi l’anno sulle imprese. C’è davvero poco di cui stare allegri!
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