Continua “il pasticciaccio brutto” dei Buoni fruttiferi postali della serie Q/P emessi tra il luglio 1986 e il 1995.
Adesso la Confconsumatori lancia l’allarme: il rischio è intasare i tribunali con querele. L’alternativa sarebbe quella di aprire un tavolo conciliativo tra Poste Italiane e associazioni dei consumatori. Ma Poste continua a non volerne sapere.
Negli ultimi anni, alla scadenza dei voucher trentennali, migliaia di risparmiatori hanno raccolto meno soldi di quanto si aspettassero e come indicato sul voucher stesso. All’origine del caos c’è il decreto che, dal 1° luglio 1986, ha abbassato i rendimenti dei buoni fruttiferi postali (che rimangono sempre uno dei prodotti preferiti dai risparmiatori italiani)
Per adeguarsi al nuovo corso, Poste Italiane avrebbe dovuto stampare nuovi tagliandi, con nuove tariffe e nuove rendite. Invece no: ha “risistemato” i vecchi buoni della serie P apponendovi un timbro con le nuove rese.
Solo che, come già spiegato da alcuni esperti legali del settore, questa operazione è stata mal eseguita. Perché in molti casi Poste non timbrava i vecchi tagliandi, oppure cambiava solo il reddito dei primi vent’anni, lasciando invariato quello dal ventunesimo al trentesimo. E così, alla fine dei trent’anni.
Ogni anno l’Arbitro Bancario Finanziario della Banca d’Italia (ABF), riceve migliaia di ricorsi relativi a questi buoni “ibridi”. E lui è sempre d’accordo con il risparmiatore, chiedendo a Poste Italiane di pagare le differenze. Il problema è che i pronunciamenti di ABF non sono vincolanti e Poste non li esegue.
Per questo molti risparmiatori si sono rivolti ai tribunali ordinari. E fin dalle prime sentenze, l’orientamento dei giudici è proprio quello dei collegi ABF: da dieci anni gli iscritti hanno diritto ad ottenere i frutti previsti dalla legge pre-1986.
Per questo Confconsumatori ha chiesto, in una nota inviata a Poste, Ministero dell’Economia e Cassa Depositi e Prestiti, di «conoscere le ragioni per cui un ente pubblico elude volontariamente la decisione della Banca d’Italia».
La prima sezione della Corte di Cassazione, però, come sottolinea anche il quotidiano La Repubblica ha rovesciato le sorti. Lo ha fatto con quattro ordinanze fotocopie, esattamente la numero 4384, la 4748, la 4751 e la 4763 dando ragione a Poste Italiane. La Cassazione ha ribaltato il principio del legittimo affidamento. La motivazione è che i risparmiatori non si dovevano fidare di quanto scritto sul titolo perché dovevano sapere che nel frattempo la legge era cambiata.
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