L’industria del mining non può più non tenere conto dell’impatto ambientale dell’estrazione di criptovalute e si appresta a un cambiamento epocale
Il mondo si appresta ad una rivoluzione sul piano ambientale e il mondo cripto non è da meno e si prepara anche lui a cambiare pagina.
Diverse aziende di mining cripto stanno già preparandosi allestendo fonti di energia senza carbonio o installazioni elettriche ecosostenibili. Tutto questo per ridurre l’impatto del carbonio nell’aria che provoca un riscaldamento dell’atmosfera.
Ma prima di operare cambiamenti bisogna tenere bene a mente qual è il problema, solo così si potranno trovare delle soluzioni che siano valide e durature nel tempo.
La decentralizzazione dell’intero sistema delle criptovalute dipende dalla blockchain. Ogni transazione quindi non passa attraverso il monitoraggio, la verifica e la registrazione di un’autorità o un governo centrale, bensì dai cosiddetti nodi.
I nodi non sono altro che computer collegati ad una determinata blockchain. Per poter prendere decisioni di validazione o di modifica del database bisogna passare attraverso il consenso e ogni blockchain ha il suo metodo per raggiungere tale risultato.
Uno dei meccanismi di consenso utilizzati dalle blockchain è quello della proof-of-work. Bitcoin è la più famosa tra le criptovalute ad utilizzare tale metodo di consenso e le sue transazioni sono verificate, trasformate in blocchi e infine aggiunte alla catena. Ogniqualvolta un nuovo blocco viene aggiunto alla catena si viene ricompensati con dei nuovi token di quella stessa moneta, in questo caso bitcoin, ed è da questo processo di “estrazione” che vengono i termini “miners” e “mining”.
Per effettuare il mining di criptovalute come il bitcoin, però, bisogna utilizzare un’incredibile potenza di calcolo che sfrutta un grande dispendio di risorse energetiche. Quando Bitcoin tornò alle luci della ribalta vi fu un grande bisogno di nuovi miners che validavano le migliaia di transazioni che venivano effettuate sulal blockchain.
Un numero alto di miners significa anche un gran quantitativo di potenza di calcolo e risorsa energetica impiegata. Per arrivare a questi quantitativi di potenza, i miners si sono avvalsi di GPU sempre più potenti, causando anche crisi elettriche in vari Paesi.
Secondo quanto riportato dal Cambridge Bitcoin Electricity Consumption, è stimato a 136,38 terawatt-ore di elettricità ogni anno il consumo elettrico che la rete Bitcoin utilizza per validare le nuove transazioni sulla blockchain, ovvero più di quanto consuma annualmente un paese come l’Olanda.
Di fronte a questo tipo di numeri, tutti i Paesi del mondo si sono seduti a tavolino per cercare di regolamentare, o addirittura vietare, il mining di criptomonete. Uno dei primi paesi a schierarsi duramente contro il mining di criptovalute è stata la Cina, il che ha provocato la migrazione di tanti miners residenti lì verso nuove destinazioni. Da quel momento in poi anche tutti gli altri stati, Stati Uniti compresi, hanno cominciato a legiferare sulla materia cripto mining.
Michael Saylor, CEO di MicroStrategy, insieme ad altre aziende del mondo cripto come itFury, Bitfarms e Atlas Mining, ha fondato il Bitcoin Mining Council (BMC). Questo consiglio si propone l’obiettivo di incentivare le pratiche di estrazione sostenibile ed educare le persone al mondo del mining con un occhio di riguardo verso l’ambiente.
Grazie alla creazione di questo consiglio, la percentuale dei bitcoin estratti con risorse rinnovabili è salito dall’1% al 58% in pochissimi mesi. TeraWulf, ad esempio, è un’azienda che si sta dando molto da fare per ridurre quanto più possibile le emissioni di carbonio. Il loro obiettivo è di utilizzare il 90% di energie rinnovabili per le attività di mining e al momento sono in costruzione due fonti energetiche senza carbonio: una centrale nucleare in Pennsylvania e una centrale idroelettrica a New York.
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