Da quando i vari enti regolatori hanno voluto porre un freno alle transazioni anonime di criptomonete, le misure KYC sono diventate indispensabili su tutti i maggiori exchange di riferimento.
KYC sta per “Know your customer”, letteralmente “Conosci il tuo cliente”. Sostanzialmente l’obbligo che ha un’istituzione finanziaria di effettuare controlli relativi all’identità del cliente che vuole usufruire del piattaforma o del prodotto.
È una delle ultime introduzioni nel campo del riconoscimento del cliente e ormai viene utilizzato dalla stragrande maggioranza degli exchange centralizzati oggi esistenti. Non tutti sanno, però, a cosa serve esattamente, perché è stato introdotto e a cosa può essere utile.
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Inizialmente una misura come il KYC era impensabile da adottare nel mondo delle criptomonete. Bitcoin, e le criptovalute in generale, nascono con un concetto intrinseco di decentralizzazione dalle istituzioni finanziarie governative. Sia a livello filosofico che pratico ma, con l’approdo di milioni di nuove persone nel mondo cripto, i vari enti regolatori governativi temevano che fondi provenienti da attività illecite venissero “ripuliti” in quel mondo.
Piano piano, ma neanche così tanto, tutti i più grandi exchange di criptovalute hanno dovuto sottostare all’obbligo del KYC, e di conseguenza i loro clienti. Anche se ovviamente esistono ancora degli exchange nei quali è possibile acquistare criptovalute senza doversi identificare con il KYC.
Binance, uno dei più grandi e famosi exchange di criptovalute, ha annunciato nell’agosto dello scorso anno che tutti i nuovi clienti avrebbero dovuto registrarsi alla piattaforma attraverso un documento d’identità. Oltre dover superare la cosiddetta verifica facciale.
Anche l’exchange BitMEX, che fine a qualche tempo era possibile utilizzare immettendo solamente una e-mail personale, ha dovuto conformarsi al nuovo regolamento che prevede l’utilizzo del KYC per utilizzare la piattaforma. La storia di BitMEX non finisce qui. Verso la fine del 2020, l’exchange è stato accusato dagli enti regolatori di non garantire il corretto funzionamento delle verifiche del cliente.
Verifiche tra cui KYC, e alla fine ha dovuto pagare ben 100 milioni di dollari di multa. Altri come ShapeShift hanno perso quasi il 95% dell’intera utenza di clienti che utilizzavano la piattaforma a causa dell’introduzione del controllo KYC.
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Un modo per evitare di essere sottoposti a rigidi controlli relativi all’identità personale dei propri clienti è quello di domiciliare il proprio exchange in Paesi più “rilassati” riguardo queste tematiche. Tra questi paesi ci sono sicuramente le Seychelles. Dove un’indagine della società di analisi Blockchain CipherTrace ha rilevato che oltre la metà degli exchange registrati lì adotta scarse misure relative al KYC.
Ovviamente, tutti gli exchange decentralizzati sfuggono a questo tipo di controlli. Exchange come SushiSwap, Uniswap, PancakeSwap e altri riescono ad evitare i controlli degli enti regolatori. Questo grazie al fatto che sono gli utenti stessi della piattaforma che scambiano criptomonete tra di loro senza che i vari DEX ne siano gli effettivi intermediari.
Uno degli elementi che viene spinto a favore dell’introduzione del KYC è quello relativo alla possibilità di subire attacchi hacker, come ad esempio i ransomware. In questi casi il computer della persona attaccata si trova impossibilitato a eseguire certe azioni. Che vanno dall’accesso al proprio account o ad una rete internet. Questo fino a che il suo proprietario non paghi un certo “riscatto” all’hacker che ha effettuato l’attacco. Un rapporto di due anni fa rilevava che oltre 350 milioni di dollari in criptovalute erano stati pagati dalle vittime di attacchi hacker. Tutto questo sfruttando l’anonimato fornito dalle criptomonete decentralizzate.
A questo si lega il concetto, che fortunatamente sta via via dileguandosi, secondo il quale chi ha a che fare con le criptovalute sia in qualche modo invischiato in qualche cosa di losco legato al riciclaggio del denaro. In questo caso il KYC potrebbe essere d’aiuto per liberare il mondo delle blockchain, e della crittografia in generale, da questo manto nero di criminalità. Riconoscendo ogni proprio cliente tramite il KYC, i vari exchange possono essere così sicuri di avere a che fare con persone che utilizzano soldi guadagnati legalmente.
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L’introduzione del KYC come riconoscimento dell’identità dei clienti dei vari exchange non è stato accolto con entusiasmo da nessuna delle due parti. Né da parte dei consumatori né da parte dei vari exchange.
Diverse startup sono quindi nate negli ultimi anni per aiutare gli exchange ad introdurre questo tipo di controllo e ai vari clienti per abituarsi. Startup come ID Passbase hanno introdotto la possibilità di caricare direttamente dei selfie, in cui deve essere visibile anche un documento di riconoscimento, per una rapida verifica del KYC.
Un’altra startup che si prefigura di aiutare i clienti e gli exchange nell’introduzione del KYC è Burrata. L’idea di quest’ultima sta nell’emettere dei veri e propri “token di identità digitale” che verranno collegati direttamente ai portafogli dei vari clienti, in modo da accorciare e facilitare la “procedura burocratica” dietro al sistema del KYC.
Anche se ormai tutti i più grandi exchange del mondo cripto hanno introdotto il riconoscimento dei clienti tramite il KYC, non sono pochi i luoghi dove il malcontento per questo genere di controllo è in continua crescita. Le criptovalute sono nate con l’intenzione di staccarsi dai concetti di economia e finanza moderni. Per lasciare quella “libertà” ai singoli individui di scambiarsi beni e servizi senza essere tracciati, e magari tassati, dai vari enti regolatori locali.
Per questo motivo gli exchange decentralizzati hanno trovato largo spazio negli ultimi anni. Sono quindi stati loro a prendersi carico della nomea di luoghi di “traffici illeciti”. Alleggerendo il peso, anche mediatico, dalle spalle degli exchange più popolari come Binance o Crypto.com.
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