Devo dichiarare le mie criptovalute? Si pagano le tasse sui guadagni? Devo compilare il quadro RW anche per i Bitcoin sul ledger? Sul tema criptovalute e dichiarazione dei redditi regna il caos. Commettere errori potrebbe costare caro. Rispondiamo a queste domande e facciamo chiarezza.
Doverosa premessa: è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista che saprà valutare il caso individuale nel migliore dei modi.
Non siamo sporchi speculatori. Siamo cripto-investitori, noi. Adoriamo questa parola, si sa. Spesso però ci dimentichiamo cosa comporta essere, appunto, “investitori”. Perché è tutto molto bello finchè si monetizza tra pancake, scimmiette e stazioni spaziali. Così bello che potremmo dimenticarci di essere in Italia. E anche degli adempimenti fiscali previsti dal pease in cui viviamo. Eppure sono errori che potrebbero costarci caro, forse anche più di sbagliare chain quando trasferiamo le nostre care cripto. Crediamo inoltre che l’ottimizzazione fiscale (che è ben diversa dall’evasione) sia un fattore chiave per la nostra strategia d’investimento, pertanto è bene conoscerne almeno gli aspetti fondamentali. Nonostante l’attuale quadro normativo sia piuttosto incerto (..assente, direbbe qualcuno), esistono alcune interpretazioni dell’agenzia delle entrate a cui si può far riferimento. In questo articolo ci baseremo sostanzialmente su questi elementi, tenendo ben presente che è fondamentale rivolgersi sempre a un professionista preparato in materia per avere un’assistenza personalizzata e sentirsi più sicuri per quando faremo il trash(-cash, pardon) con le nostre amatissime cripto.
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Devo sempre dichiarare di possedere delle criptovalute? Anche se sono spiccioli? Ci sono tasse sul possesso?
Non giriamoci troppo intorno: sì, dobbiamo farlo. Anche per 1€. Questo è uno dei pochissimi punti su cui tutti i professionisti che abbiamo sentito sono d’accordo. Anche perché conviene, in fondo non ci costa nulla e sarebbe prudente farlo. L’ade si è espressa tante volte in questo senso, l’ultima volta proprio quest’anno [risposta n.788/2021. Documento integrale qui: https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/3930262/Risposta+788+del+2021.pdf/01995188-b1a7-bdcb-6116-760577456538] .
Come si evince piuttosto chiaramente, sarebbe necessario dichiarare anche le criptovalute che custodiamo nei nostri hardware wallet, anche se in Italia.
Inoltre, I prestatori di servizi relativi alle valute virtuali saranno presto tenuti a trasmettere all’Oam(Organismo degli Agenti e dei Mediatori creditizi) i dati relativi alle operazioni effettuate in Italia. La trasmissione dei dati averrà ogni trimestre, secondo le specifiche tecniche che saranno pubblicate dall’Oam. L’Oam dovrà conservare i dati trasmessi per dieci anni. Il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza potrà fruire i dati conservati dall’Oam, a fini di accertamento. Questo è un importante motivo per scegliere una via più prudente e, seppur in assenza di una specifica normativa, dichiarare con attenzione il possesso delle criptovalute nel quadro RW. Anche perché, lo ripetiamo, zero tasse. Non vi è nulla da pagare essendo le criptovalute anche esenti da IVAFE.
Devo pagare le tasse sulle plusvalenze?
In attesa di una legge specifica in materia, al momento le criptovalute sarebbero assimilate alle valute estere e quindi trattate come tali, vedasi risoluzione n. 72/E/2016 [Link al documento: https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getContent.do?id={EE2C570E-BE22-48E4-A213-62F07C0576F2}]
Come detto, si evince da questo documento che le valute virtuali sono assimiliate alle valute tradizionali estere. Per questo motivo, osserviamo quanto indicato nell’articolo 67 del DPR n 917/86:
Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria “le plusvalenze […] realizzate mediante cessione a titolo oneroso […] di valute estere, oggetto di cessione a termine o rinvenienti da depositi o conti correnti“.
“Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui“.
L’inizio del “periodo di riferimento” è il 1 gennaio dell’anno oggetto della dichiarazione.
Al fine, comunque, di evitare di attrarre a tassazione fattispecie non significative la tassazione delle cessioni di valute rinvenienti da depositi o conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza massima dei depositi intrattenuti dal contribuente superi i 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.
Esempio pratico di calcolo della giacenza e delle plusvalenze:
Nel mese di gennaio un soggetto ha acquistato su exchange 5 bitcoin al tasso di cambio BTC/EUR di 25.000. A dicembre dello stesso anno vengono convertiti in euro i 5 bitcoin al tasso di cambio BTC/EUR di 50.000 realizzando una plusvalenza di 225.000 euro (5*25.000 – 5*50.000).
Ipotizzando che il contribuente non fosse titolare di altre valute estere la plusvalenza non è fiscalmente rilevante. Questo non essendo stato superato il limite dell’art. 67, comma 1-ter TUIR.
Tuttavia, se nello stesso anno il soggetto avesse avuto anche un deposito di dollari pari a 50.000 euro la soglia sarebbe stata superata.
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Alcune considerazioni
In attesa di nuove norme specifiche, è piuttosto evidente come il nostro paese stia cercando di rendere sempre più tracciabili i dati dei detentori di valuta virtuale attraverso intermediari che offrono la gestione di portafogli virtuali (primi fra tutti gli exchange centralizzati regolamentati, ad esempio Binance o Coinbase). In attesa delle nuove linee guida è quindi importante percorrere una via quantomeno prudente, rispettando le passate interpretazioni dell’ade e su cui la maggioranza dei professionisti in materia concordano. A nostro avviso, peraltro, con le attuali regole il trattamento fiscale nel nostro paese è assolutamente vantaggioso (vedi esempio nel paragrafo del calcolo della giacenza). Sono molti i casi in cui, facendo le cose con criterio, non si dovranno pagare tasse.Escludendo portafogli di grosse entità, i piccoli investitori posso realizzare dei gran bei take profit prima di superare la famosa soglia dei 51.645€ con i valori al 1 gennaio. Soprattutto contestualizzando tale controvalore nel complesso di un portafoglio ben bilanciato tra criptovalute, azioni, obbligazioni, liquidità ecc. Anche una volta superata la soglia dei 51.645€, l’imposta del 26% sulle plusvalenza ci sembra comunque ragionevole se pensiamo anche solamente alle performance esplosive dell’anno in corso.