Una delle domande che in questi mesi ricorre di continuo. Il nodo pensioni perennemente sul tavolo del Governo.
Il Governo, in questi mesi ha sul tavolo degli impegni improrogabili una delle questioni più rilevanti per quel che riguarda l’attuale scenario politico sociale. Da un lato la necessità di incidere con nuove istanze e programmatiche visioni, dall’altro l’esigenza di offrire al paese una misura dignitosa e soprattutto facilmente comprensibile nell’immediato, capace di offrire anche una certa progettualità a coloro i quali al momento sono tagliati fuori da ogni logica. Il tema è sempre quello delle pensioni, assolutamente rilevante nell’ultimo periodo.
I tentativi di assicurare al paese una riforma mirata ed esaustiva da parte dei precedenti governi non sono di fatto andati in porto. Quota 100, lasciata cadere dall’attuale esecutivo ne è uno degli esempi più concreti. Troppo dispendiosa per le casse dello Stato, troppo poco comprensibile sotto molti punti di vista. I cittadini chiedono una riforma che assicuri pari dignità ad ogni livello, una riforma chiara che non miri ad estremizzare al massimo la durata del periodo lavorativo nella vita di ogni singolo cittadino, le proposte non mancano.
Una delle logiche che in questo periodo tiene banco nei luoghi del Governo, ma non solo è quella della soglia minima di contributi da versare nell’arco del periodo lavorativo. Oggi, il requisito minimo è di 20 anni di contributi, per quel che riguarda invece l’età anagrafica siamo fermi a 67 anni. Ciò che si chiedono con sempre maggiore insistenza gli italiani è il valore di questo requisito minimo, rapportato alla singola esperienza. Quanto vale, cioè, ad oggi una pensione raggiunta con 20 anni di contribuzione previdenziale una volta raggiunta la soglia dei 67 anni?
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Prima della metà degli anni novanta, il calcolo dell’assegno mensile era di facile attuazione, basandosi quest’ultimo esclusivamente sul sistema retributivo. Bastava quindi, nella maggior parte dei casi prendere come riferimento gli ultimi cinque anni di retribuzione ed il gioco era fatto. Oggi, con l’avvento del sistema misto, i fattori da prendere in considerazione sono di fatto aumentati. Il numero di anni di contributi versati prima del 1996 e dopo il 1996, la rivalutazione del montante contributivo ed il coefficiente di trasformazione oltre ai versamenti dei contributi nel corso degli stessi anni. Il lavoratore che ha lavorato con una certa continuità non avrebbe problemi nel stabilire un importo indicativo, compito invece più difficile per chi ha alternato momenti di lavoro a momenti di pausa forzata.
L’unica possibilità concreta è quella di avviare un processo di simulazione a ridosso dell’età in cui si dovrebbe andare in pensione. La media delle ultime retribuzione da considerare per stabilire un importo vicino a quello della pensione riguarda il 65/70% delle ultime retribuzioni percepite. Tra qualche anno con il sistema contributivo integrale l’importo corrisponderà invece al 50-55% delle ultime retribuzioni percepite. Tutto però è sempre legata alla continuità del periodo lavorativo, e tutto nel tempo potrebbe ancora una volta cambiare. La situazione, insomma, è avvolta nella più densa ed marcata provvisorietà.
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