Per molti esperti, i Bitcoin sono una validissima alternativa al sistema bancario classico, così come è assodato che tantissime criptovalute uscite dopo non sono riuscite a sfruttare appieno questa nuova tecnologia. Soltanto Ethereum ha avuto un relativo successo, mentre sono pochissime le catene divere da entrambe che hanno una effettiva utilità.
Il problema è la poca attenzione data ai fattori che conferiscono una certa legittimità alla lunga coda di altcoin, cosa che ha erroneamente portato a considerare maggiormente l’innovazione tecnica piuttosto che le cose che veramente contavano. Inoltre, quale garanzia ci sono che gli sviluppatori non abusino del loro privilegio all’interno del sistema? Ci sono sufficienti controlli? La politica monetaria è realmente credibile?
Un esempio è l’altcoin EOS. Se da un lato i sostenitori più fervidi affermano che la rete è in grado di elaborare un elevato numero di transazioni al secondo, dall’altro i detrattori asseriscono che il fatto che gli scambi vengono effettuati in termini di centralizzazione relativa del set di validatori è un aspetto troppo spesso trascurato.
Quando la centralizzazione è troppo elevato, la stessa legittimità a lungo termine è minacciata dalla rete stessa, la quale è scarsamente compensata dal miglioramento tecnico marginale. Alla luce di quanto detto, una domanda sorge spontanea: possono realmente considerati criptovalute gli altcoin con il livello di centralizzazione attorno a nodi di convalida identificabili pubblicamente?
L’unica eccezione è Ethereum, con il suo token natico che la scorsa settimana ha avuto uno dei migliori movimenti di prezzo di sempre rispetto a Bitcoin. Questo significa che la comunità di Ethereum è davvero vibrante e che riesce a muoversi su un terreno organico pieno di utilizzo e sviluppo. Invece, il resto che circonda le due criptovalute è ancora poca cosa.